Punto & Virgola

Nella classifica Fortune gli allievi cinesi fanno assai meglio dei maestri americani

Ma cambiando l’ordine dei fattori, il risultato…


28/02/2016

di Andrea Di Furia

Rammentate la China National Chemical Corporation? La società cinese che l’anno scorso si è pappata la Pirelli? Nata nel 2004, la giovanissima ChemChina sta scalando le posizioni della classifica Fortune a suon di acquisizioni: passando dal 335 posto del 2012 al 265 posto del 2014.

Questa classifica è cambiata profondamente negli ultimi anni: a dominarla è ancora un brand americano (Walmart), ma le aziende Usa che la compongono sono scese del 30% dalle 197 del 2002 alle attuali 128 e significativo è anche il ridimensionamento del Giappone: in 20 anni è sceso da 149 a 54.

Per contro se 10 anni fa le aziende cinesi in classifica erano solo 19 oggi, con un + 500%, arrivano a 98 e, per la prima volta, a generare i profitti più alti nel mondo è stata proprio un’azienda cinese: la Industrial & Commercial Bank of China. Non casualmente... una Banca!

Tornando a ChemChina, la sua prima acquisizione la fa ad appena un anno di vita, nel 2005, quando si è impadronisce della francese Adisseo, leader nel mercato degli additivi nutrizionali; cui segue l’australiana Qenos, specializzata nella lavorazione di polietilene e polimeri.

La corsa è poi continuata nel 2011 con la norvegese Elkem, forte sul campo dei siliconi e delle leghe speciali, e con la formalizzazione di una quota del gruppo israeliano Makhteshim Agan, sesto produttore mondiale di pesticidi. Nel 2015 agguanta l’italiana Pirelli (con un investimento di 7,1 mld di euro) e la tedesca KraussMaffei (con quasi 1 mld di euro).

Nel 2016, a inizio febbraio, c’è il botto di Syngenta: società svizzera leader europeo dei pesticidi e delle sementi OGM, strappata alla Monsanto americana con un esborso record di 43 mld di $. Per quest’ultima: anno funesto.

Creata nel 2004 come estensione della commissione che gestisce parecchie aziende di stato cinesi [State-owned Assets Supervision and Administration Commission], ChemCina nelle mani dell'Amministratore delegato Ren Jianxin ha aperto nuovi stabilimenti di produzione e di ricerca e sviluppo in 140 diversi paesi.

Senza considerare le decine di società che controlla ai quattro angoli del globo e i 24 istituti di ricerca e design che sta cercando di trasformare nella rampa di lancio per la sua prossima rivoluzione strategica.  "Chimica tradizionale, materiali avanzati" nei 6 settori di punta: materiali chimici di base e innovativi, lavorazione del petrolio, agrochimici, apparecchiature chimiche e gomma.

L'Amministratore delegato di ChemChina che è membro permanente del Comitato Centrale del Partito Comunista cinese, dato che lo Stato possiede il 96% di ChemChin, sfruttando le debolezze altrui sta riuscendo ad affermarsi su mercati che fino a qualche tempo fa gli sarebbero stati inaccessibili.


Ci informa Sergio di Cori Modigliani che il quasi sconosciuto Ren Jianxin : «È una delle persone più potenti al mondo. La liquidità monetaria di cui dispone si aggira sui 500 miliardi di euro, pari al PIL di Grecia, Portogallo Slovenia, Croazia, Macedonia tutte insieme e [con Syngenta] entro pochi mesi finirà per diventare padrone dell’intera agricoltura italiana». Senza che gli Italiani lo sappiano...

Un sintomo preoccupante per l’economia europea, fino ad ora calpestata prevalentemente dall’interventismo finanziario angloamericano, che sta per scoprire di poter diventare lo stuoino anche dell’interventismo cinese: specialmente adesso che si stanno attivando i negoziati per un accordo di libero scambio Ue-Cina sugli investimenti a rimpiazzo delle 27 intese bilaterali esistenti.

Accordo importante per entrambi, dato che per la Ue la Cina è il secondo partner dopo gli USA e per la Cina l’Europa è il primo, in relazione ad un'interscambio che viaggia sul miliardo di euro al giorno.

Per Adriana Cerretelli del Sole 24 Ore, la Cina pretende di avere lo status di “normale” economia di mercato senza avere le credenziali in regola, perché in realtà la sua crescita è dovuta a diversi trucchi: «Interventismo massiccio dello Stato nell’economia come nel commercio, sovvenzioni pubbliche generosissime e regolarmente non notificate al Wto, molteplici barriere tecniche agli scambi, scarsa trasparenza, misure discriminatorie nei confronti degli stranieri che operano nel paese, restrizioni all’export di materie prime, scarsissima tutela della proprietà intellettuale sullo sfondo di un mastodontico accumulo di sovracapacità produttiva: un’autentica minaccia letale per l’industria europea».

Sembrerebbe che il fatto di operare attraverso un’azienda di Stato sia ritenuto “non corretto” e più minaccioso rispetto ad un’economia di mercato gestita dai privati.

Chiediamoci, tuttavia, proprio rifacendoci all’acquisizione Syngenta: c’è differenza tra essere appestati dai pesticidi di proprietà di un’azienda di stato cinese ed essere appestati dai pesticidi di proprietà di un gruppetto di azionisti privati svizzeri, come avveniva prima dell’acquisizione?

Ovviamente no. Il punto, su cosa dev’essere una sana economia di mercato, non sta affatto lì.

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