Punto & Virgola

Le regole della Giustizia vanno cambiate, ma come?

Da problema politico a problema culturale


09/07/2019

di Andrea di Furia

Dopo le istruttive vicende del Consiglio Superiore della Magistratura, la condanna giudiziaria di Giuseppe Sala per l’Expo di Milano è un ulteriore sintomo di come la macchina giudiziaria sia sempre meno capace di operare bene per la Giustizia.

Aver retrodatato due verbali nel maggio 2012, per superare la paralisi che aveva ereditato e sostituire due componenti della commissione aggiudicatrice per assegnare l'appalto della 'Piastra', il più ricco dell'Esposizione, è il vizio formale contestato. Vizio che, risulta agli atti, non ha danneggiato né arricchito nessuno e Sala è l’unico condannato, per aver firmato il verbale.

Non contenti, i giudici hanno concesso l'attenuante per aver agito per particolari ragioni di valore morale e sociale. Come dire: "Non meriti la condanna, ma che possiamo fare visto che c'è la tua firma sull'atto?”.

L’impotenza manifestata dalla Magistratura nel caso Sala, nei confronti della propria funzione sociale, e l’onnipotenza manifestata viceversa nel caso CSM fa riflettere. Tanto che c’è chi chiede di cambiare le regole della Giustizia, come Ernesto Galli della Loggia che, sul Corriere della Sera di sabato 6 luglio, ricostruisce le origini del problema a partire dagli anni’70.


Ernesto Galli della Loggia: «Fu in quel tempo, infatti, che favorita dall’aria che spirava nel Paese la magistratura cominciò a scoprire nella politica uno straordinario fattore di dinamizzazione e di promozione di ruolo nonché di status economico. Le indagini sul terrorismo e sulla mafia, e le conseguenti rappresaglie sanguinarie dell’uno e dell’altra ai danni dei magistrati, ebbero l’effetto di accentuare al massimo questo rapporto con la politica. Che diviene definitivo con le inchieste di Mani Pulite, le quali ebbero l’effetto perverso di fare dell’ordine giudiziario il protagonista assoluto del massimo rivolgimento politico della storia repubblicana del Paese».

A distanza di pochi decenni tale libertà d’azione ha portato la Magistratura ad occupare la stragrande maggioranza dei posti chiave nel Ministero di Grazia e Giustizia, la quasi totalità dei posti negli uffici legislativi dei vari ministeri e spessissimo la posizione di capogabinetto di tutti i ministri, viceministri e sottosegretari.

Ernesto Galli della Loggia: «Se poi si tiene a mente il naturale raccordo di colleganza che esiste tra questo insieme di magistrati inseriti nei gangli vitali del governo e quelli operanti nei Tribunali amministrativi e nel Consiglio di Stato – cruciali ai fini del giudizio su ogni atto legislativo e sui relativi effetti – si ha facilmente un’idea della formidabile struttura di influenza e insieme di autotutela che in tal modo è venuta a trovarsi nelle mani della magistratura».

Com’è possibile inquadrare questa deriva autroreferenziale culturale della Magistratura? Questa totale mancanza di indipendenza e autonomia dalla politica, come le prescrive la Carta costituzionale?

Ernesto Galli della Loggia: «Verso la politica, peraltro, la Magistratura si è trovata ancor più sospinta da due fatti. Innanzitutto perché le istituzioni e la pratica dell’autogoverno di cui godeva la portavano in quella direzione in modo per così dire fisiologico, e in secondo luogo perché in tale corsa essa non ha trovato alcun ostacolo a causa delle categorie di “autonomia” e “indipendenza” iscritte nella Costituzione sempre più considerate un intoccabile feticcio dall’ideologia ufficiale del Paese».

Ora, per capire davvero questo “modo per così dire fisiologico”, dobbiamo osservare come in realtà il potere giudiziario sia il vero nucleo centrale della dimensione sociale politica. In funzione di una visione strutturale sana (ossia tridimensionale) del sistema sociale infatti, i tre poteri legislativo (Parlamento), giudiziario (Magistratura) e amministrativo (Governo) sono il riflesso specifico della tridimensionalità strutturale reale del sistema nella dimensione politica.

Il potere legislativo è il riflesso, nella dimensione politica, della dimensione culturale; il potere amministrativo è il riflesso, nella dimensione politica, della dimensione economica. Il potere giudiziario è il riflesso specifico, nella dimensione politica, della dimensione politica stessa! Perché il focus della dimensione politica è la tutela dei diritti e doveri della Comunità dei cittadini.

Se il sistema fosse quale dovrebbe essere - ovvero tridimensionale equilibrato e non unidimensionale squilibrato tutto sulla dimensione sociale di volta in volta dominante le altre due – quella deriva culturale della magistratura che lamenta anche Galli della Loggia non sarebbe così facilmente avvenuta.

Ma invece di un sistema tridimensionale (a tre cassonetti: Scuola, Stato, Mercato) che fa la raccolta differenziata del sociale politico, economico e culturale nel periodo considerato abbiamo avuto un sistema monodimensionale (a cassonetto unico: Stato) che fa la raccolta indifferenziata del sociale tridimensionale. E nel cassonetto unico Stato si è creato un vortice inarrestabile in cui i tre poteri, riflessi delle tre dimensioni sociali, si sono di necessità mischiati. E in questo vortice unidimensionale il potere più forte - il potere specifico e centrale alla dimensione sociale politica, la magistratura - ha perso i propri limiti e ha fagocitato gli altri due.

Ernesto Galli della Loggia: «Si capisce bene allora come nella psicologia di una parte significativa del sui membri sia venuta formandosi la convinzione dell'ovvia, in certo senso "dovuta", vastità del proprio potere e del proprio altrettanto “dovuto” prestigio, insieme ad una ideologia di tipo castale di sé e del proprio rango. Si capisce come di conseguenza ne sia potuta risultare tanto spesso la perdita del senso del limite di tale ruolo, l’abitudine al privilegio, l’uso di intrattenere rapporti da pari a pari con ogni altra sede del potere [politico] stesso».

Già qui vediamo, anche se in senso negativo, che il problema è diventato culturale, più che politico. Naturalmente ci sono eccezioni e anche numerose, a questa degenerazione culturale della magistratura, ma contano? No. Perché?

Ernesto Galli della Loggia: «Perché politicamente (ossia dal punto di vista dell’interesse collettivo) conta assai di più che in seguito a ciò che è accaduto e stia accadendo gli italiani stiano velocemente perdendo ogni stima in coloro che sono chiamati ad amministrare la legge, e da cui infine dipendono la loro libertà e i loro beni. La perdita della fiducia nella giustizia è un colpo mortale alla Repubblica. Proprio per questo è il momento di pensare a una revisione di molte delle regole che finora hanno governato questo settore cruciale della nostra vita pubblica».

Riflettendo su questa analisi non si può che essere d’accordo. Tuttavia in fase di revisione delle regole è diverso se si ragiona avendo presente la strutturazione reale del sistema sociale oppure no. Perché abbiamo visto che è esattamente la raccolta indifferenziata del sociale tridimensionale (a cassonetto unico: Stato) ad aver portato la Magistratura a fare propri, politicamente, tutti e tre i poteri politici: giudiziario, legislativo e amministrativo.

Da questo ragionamento, portato alle sue estreme conseguenze, deriva che gli anticorpi alla situazione attuale possono esistere solo in un sistema in cui si fa la raccolta differenziata (a tre cassonetti: Scuola, Stato, Mercato) del sociale tridimensionale. Quindi la soluzione è il cambiamento strutturale del sistema: da unidimensionale a tridimensionale, dalla raccolta indifferenziata alla raccolta differenziata del sociale politico, economico e culturale.

Se invece, come in Galli della Loggia e purtroppo in tantissimi altri, la consapevolezza del “peso” strutturale del sistema su tutte le dinamiche sociali in atto manca… ecco che si cerca di individuare soluzioni destinate a deludere. Anche se tendere verso una revisione delle regole della giustizia è in sé lodevole e opportuno, se si vuole davvero una magistratura autonoma e indipendente.

Ernesto Galli della Loggia: «È un’opera, io credo, che a cominciare dal momento della sua iniziativa è opportuno sia sottratta per quanto possibile allo scontro tra i partiti. È necessario l’intervento di un “potere neutro” che della revisione di cui sopra si faccia promotore al di sopra di ogni sospetto di strumentalizzazione, indicandone altresì alle forze politiche – pur senza ovviamente interferire nelle loro decisioni – la direzione di massima e le linee maestre. Tale potere non può essere evidentemente che quello rappresentato dal capo dello Stato. Chi meglio di lui, che tra l’altro è anche il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura?».

Purtroppo non basta illudersi sull’efficacia di un “potere neutro” come il Presidente della Repubblica di sottrarre alla quotidiana e sterile litigiosità dei partiti la questione della revisione delle regole, bensì serve con urgenza una “dimensione sociale neutra” in cui questa revisione possa farsi in tutta serenità al di fuori delle grinfie dei partiti e dalle pretese autoreferenziali della magistratura dentro e fuori di essi.

Ci serve – e per tanti altri problemi attuali (!) non solo per risolvere il problema della magistratura degenerata – che la dimensione culturale (Scuola) sia sottratta alla tutela della dimensione politica (Stato) e della dimensione economica (Mercato). Cosa possibile solo ristrutturando il sistema: da unidimensionale a cassonetto unico Stato a tridimensionale a 3 cassonetti separati: Stato, Mercato, Scuola.

Dimensione culturale che di necessità deve essere autonoma e indipendente dalle altre due dimensioni sociali se si vuole in concreto rivedere le regole della giustizia e ottenere, rispettosa dei limiti del suo effettivo ruolo politico-sociale, una magistratura autonoma e indipendente.

(riproduzione riservata)