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Futuro incerto per l'Europa

Le politiche fiscali interne mettono a rischio la competitività globale


28/07/2025

di Marco Ricci


Il 27 luglio 2025, a Turnberry, in Scozia, è stato siglato un accordo commerciale tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. L'intesa, che prevede una tariffa uniforme del 15% su una vasta gamma di prodotti europei, ha subito scatenato un acceso dibattito. Ma la vera domanda che sorge di fronte a questo accordo è: l'Europa, e in particolare l'Italia, ha davvero a cuore la propria economia e le proprie imprese? Perché se prima le politiche interne europee, come il Green Deal e le politiche fiscali, hanno imposto dazi e oneri aggiuntivi alle aziende, adesso, con l'introduzione di dazi esterni, la situazione sembra diventare insostenibile.
È evidente che l'accordo con gli Stati Uniti rappresenti un compromesso, ma la questione che l'Europa deve affrontare ora è se ha davvero a cuore la propria competitività globale. L'accordo di Turnberry, che include una tariffa del 15% su prodotti come automobili, semiconduttori e prodotti farmaceutici, non solo pone in difficoltà i settori industriali europei, ma solleva anche interrogativi fondamentali sulle politiche economiche interne che l'Europa ha adottato. Se vuole davvero sostenere le proprie aziende, deve essere disposta a rivedere le sue politiche fiscali interne, in particolare quelle che pesano sull'Italia, dove l'aliquota IVA è tra le più nel mondo.
Il problema dell'IVA elevata è esclusivamente italiano e non riguarda l'intera Unione Europea. È l'Italia, infatti, che ha il compito di risolvere questo problema a livello nazionale. Se l'Unione Europea continua a imporre costi aggiuntivi come quelli legati al Green Deal, che inevitabilmente penalizzano le imprese, e se i singoli paesi come l'Italia non si decidono a ridurre l'aliquota IVA, la competitività dell'intero blocco europeo risulterà compromessa. Per noi, abbattere l' IVA non è più una scelta, ma una necessità urgente. Altrimenti, le aziende italiane saranno costrette a fare i conti con un sistema fiscale che non solo le opprime internamente, ma che ora si trova anche a dover affrontare le sfide imposte dall'esterno, come i dazi statunitensi.
L'accordo con gli Stati Uniti, che prevede anche l'acquisto di energia per 750 miliardi di dollari e investimenti nell'economia statunitense, è in gran parte favorevole solo a loro. Da parte europea, però, c'è il rischio che si stiano facendo compromessi troppo costosi, senza un reale guadagno in termini di crescita e competitività. Se non siamo in grado di rispondere con misure adeguate, come la riforma fiscale e la riduzione dei dazi interni, ci troveremo a subire decisioni imposte da altri attori globali. L'Unione Europea sta davvero mettendo al primo posto l'economia delle sue aziende, o sta continuando a seguire politiche dettate da agende esterne che non sempre rispecchiano gli interessi degli Stati membri?
Se Ursula von der Leyen non cambierà rotta, il rischio è che i nostri bilanci siano sempre più vulnerabili, con politiche interne che ne minano la competitività, mentre esternamente si cede troppo facilmente a compromessi che favoriscono altri. È il momento di dimostrare se i leader europei sono pronti a proteggere veramente le loro economie, a partire dalla risoluzione di problemi strutturali come l'aliquota IVA in Italia e le politiche interne che impongono costi insostenibili alle aziende. Altrimenti, l'Europa rischia di trovarsi in una spirale in cui danneggia le proprie imprese per favorire altre potenze globali, indebolendo la sua posizione sullo scenario internazionale.

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