Adriano Olivetti: moderno testimone della parola che si concretizza
Città dell’uomo, riedita con documenti inediti
13/03/2016
di Andrea di Furia
Adriano Olivetti è sicuramente stato una metèora nel panorama italiano a cavallo delle due Guerre mondiali. Una luce culturale, politica ed economica che le tenebre contemporanee non hanno compreso nella sua tridimensionale interezza: preferendogli di volta in volta l’Uomo di cultura cui tutto devono il Design e l’Urbanistica italiana; oppure l’Uomo della politica cui si deve la chiave moderna per una riorganizzazione istituzionale democratica e socialista all’altezza dell’attuale Società liquida; oppure l’Uomo dell’Economia cui si deve il concreto concetto di responsabilità d’impresa, fondato sul territorio (e non sul marketing del consenso, come l’attuale).
Chiunque lo abbia avvicinato, con simpatia o con antipatia, lo ha descritto a propria immagine somiglianza: era un teorico per i teorici delle idee che si atteggiavano a pratici, era un pratico per i pratici che nell’essenza rimanevano teorici delle cose. Nessuno di loro riconobbe l'Olivetti "concreto".
E sono gli stessi teorico-pratici e pratico-teorici che, peraltro, avevano portato il mondo moderno sul baratro delle due Guerre mondiali; gli stessi che lo porteranno sul baratro della guerra fredda prima e - dopo la sua morte avvenuta nel 1960 sul treno per la Svizzera - delle odierne azioni di peace kiping causa dell’attuale migrazione dei popoli che sta mettendo in ginocchio la residuale pseudo-democrazia continentale e planetaria: ormai pronta per virare verso la dittatura.
Sintomatica, poi, l’incomprensione che gli portarono incontro varie categorie perennemente in lotta tra loro.
Per la padronale Confindustria, dove la FIAT era egèmone, Olivetti non era un imprenditore ma un sovversivo comunista - e si giunse perfino a boicottarlo, dopo una sua denuncia circa il fatto che gli aiuti americani rafforzavano l’Alto capitalismo e non giungevano sul territorio, dove invece servivano davvero, se non in minima parte e prevalentemente quali strumenti del consenso partitocratico.
Per il Sindacato avvelenato dall’ideologia, invece, un Sindacato sordo-cieco-muto di fronte alla concreta interpretazione del concetto di responsabilità d’impresa da parte della Olivetti SpA - manifestata fin nel più piccolo particolare della relazione Imprenditore-Operaio dentro e persino fuori (!) la fabbrica – l’Ingegner Adriano era addirittura un “paternal-nazista”.
Altra opposizione classica quella dei Materialisti e degli Spiritualisti, che riverberava dalla dimensione politica dove si esprimeva nell’intollerante e sterile contrapposizione ideologica del Partito comunista e della Democrazia cristiana: l’uno che rifiutava lo Spirito e l’altra che rifiutava la Materia.
Comoda dunque, da parte loro, l’incomprensione di chi, come Olivetti, comprendeva e armonizzava su di un livello superiore sia Spirito che Materia. Specialmente se costui propugnava un piano di riforme alla cui base: «... vi è la concezione di una nuova Società che per il suo orientamento sarà essenzialmente socialista, ma che non dovrà mai ignorare i due fondamenti della società che l'ha preceduta: democrazia politica e libertà individuale».
Socialismo, Democrazia e Libertà individuale: una tridimensionalità concreta assolutamente indigesta persino ai Partiti socialisti. Persino questi erano più Partiti, ossia organismi autoreferenziali, che socialisti. Come lui steso scrive nella riedita con testi inediti, a cura di Alberto Saibene, Città dell’Uomo:
«Negli anni confusi e incerti che videro la grande affermazione del PSIUP alla Costituente, mi adoperai a far comprendere l’importanza di un nuovo diritto sociale. Il quale non doveva consistere in vaghe affermazioni di principio, ma in istituti giuridici nuovi, in un nuovo schema dello Stato, che lungi dall’essere oppressivo risolvesse i temi insoluti della libertà e della dignità dell’uomo».
Si sa tuttavia che il materialista, pur servendosene, snobba l’idea quale sovrastruttura rispetto a ciò che vede, sente, tocca e così perde sempre l’idea-chiave, la soluzione che sempre cerca… cosa che non sfugge ad Olivetti: «L’idea che il socialismo si fa giorno per giorno, creando con atti positivi il tessuto organico di un mondo nuovo, sfuggiva ai nostri socialisti, ancora trattenuti dal complesso d’inferiorità e dall’illusione permanente del massimalismo».
Olivetti constata amaramente che tutto ciò che comportava il rendere concreto istituzionalmente [amministrativamente, funzionalmente, decentratamente, urbanisticamente ecc.] l’osmosi tra socialismo e democrazia e tra socialismo e libertà individuale, tutte queste innovazioni che tutt’ora urgono incomprese: «… non trovavano eco in un ambiente abituato a formulazioni teoriche astratte, in gran parte arretrate di decine di anni, e sotto “l’oppio intellettuale” moralmente avvilente della dottrina dello Stato-guida, del conformismo, del compiacimento letterario verso l’ortodossia marxista-leninista».
Olivetti si rende conto che di questa situazione involutiva è largamente corresponsabile il partito stesso quale istituzione: «Esso mira prevalentemente al proprio ingrandimento e all’esaltazione delle persone rinunciando ad ogni passo alla promozione degli ideali per i quali il partito stesso si era costituito. I marxisti nostrani rimanevano chiusi in un idealismo deteriore, nelle concezioni meccanicistiche e materialistiche della storia e delle sue interpretazioni».
Ma sul fronte degli spiritualisti non va meglio. Perché voler vivificare ed identificare la fede nel socialismo con quanto l’etica cristiana ha depositato nel fondo della civiltà come rispetto della dignità umana vien visto come un atto di lesa maestà, come un attacco sleale al monopolio cattolico del cristianesimo nella Democrazia cristiana. Da uno, poi, che cattolico non era: il padre Camillo Olivetti era ebreo la madre Luisa Revel era cristiana valdese.
In più, per invidia, di Olivetti qui si disprezzava la capacità imprenditoriale con cui aveva reso la Olivetti SpA leader mondiale delle macchine di calcolo e da scrivere. Un rifiuto istintivo dogmatico che negli anni ha però permesso il prosperare intoccato dell’Alto capitalismo finanziario speculatore avversato dall’Ingegner Adriano, ma che non permise di capire il messaggio politico sano di Olivetti che poneva l’elemento spirituale ideale nella sua corretta collocazione sociale: fuori della dimensione politica e dentro la dimensione culturale ed etica.
E soltanto nella dimensione culturale Olivetti dichiarava riconoscibile per tutti, religiosi e atei, la validità etica dell’Impulso Cristiano a totale promozione della Persona: di ogni nato uomo con la sua personale individualissima vocazione, come presupposto di ogni agire a vantaggio delle presenti e delle future generazioni.
Gli allora portatori della versione cattolica del cristianesimo nella dimensione politica - nella sua malsana degenerazione, secondo la legge di Gravità sociale che dobbiamo tener sempre oggettivamente davanti alle nostre considerazioni passate, presenti e future – come partito politico (nell’oggi defunta Democrazia cristiana ma allora attivissima) non afferravano l’innovazione rivoluzionaria [tutt’ora rivoluzionaria!] offerta da Adriano Olivetti come soluzione alle annose carenze della partitocrazia e del suffragio universale: in una parola di una democrazia non più all’altezza dei tempi nuovi e pertanto incapace di cogliere l’epocale avvento della rivoluzione industriale.
Innovazione che consisteva nel trasportare nella forma delle Istituzioni stesse (parlamento, governo, pubblica amministrazione, regioni) l’elemento spirituale ma oggettivato: nell’armonia della sua forma con la sua articolazione funzionale. Olivetti era un vero Artista della Politica: quello che oggi ad essa manca!
Non chiacchiere spirituali ed etiche dunque, non vaghe enunciazioni di principio da tenersi in istituzioni ormai logorate da secoli di storia, così care ai teorico-pratici ed ai pratico-teorici di destra e di sinistra [che oggi twittano e chatticchiano sui social network] ma istituti giuridici nuovi prendenti nuova “forma” spirituale oggettiva quale espressione di giustizia sociale - secondo quel principio vivente già sperimentato nella dimensione economica.
Nelle fabbriche Olivetti, infatti, dal posto di lavoro confortevole e integrato nel territorio, dalla relazione viva tra le tensioni imprenditoriali e lavorative, dalla elevazione culturale di tutti i partecipanti nasceva la volontà personale di collaborare allo scopo comune in ruoli diversi ma rispettosi l’uno dell’altro, e il comportamento etico all’interno era il succoso frutto del contesto istituzionale così saggiamente conformato.
Per fare questo nella dimensione politica, però, ci si deve accorgere che il reale soggetto della dimensione politica non può essere né il Cittadino, né la Pubblica Amministrazione bensì la Comunità. Quella Comunità concreta che per Olivetti nasce sulle rovine della Società individualistica ed egoistica distrutta dalla seconda guerra mondiale.
Perciò la Pubblica Amministrazione, quale espressione dei Partiti, non può più essere il punto di riferimento per lo Stato e se di Stato italiano si deve parlare allora per Olivetti si può solo parlare, in senso nuovo e organico, di Stato federale delle Comunità d’Italia.
Questa visione organica della dimensione politica basata sulla cellula della Comunità viene espressa magistralmente nel suo Ordine politico delle Comunità, presentato nel 1945 ai Padri affondatori della Repubblica italiana. Sì, "affondatori": perché autoreferenzialmente lo snobbarono... e ne subiamo oggi noi le evidenti, tragiche conseguenze.
Testo quest'ultimo di assoluta grandezza planetaria, che fa di Olivetti probabilmente il più grande statista dalla Rivoluzione francese ad oggi. Paradossalmente tutt’ora non capito, peraltro, neppure da chi dice di apprezzarne il valore teorico. Perché teorico quel testo non è!
Anche Città dell’Uomo è un libro che non può mancare sul comodino di chi giornalmente si interroga su come risanare il sistema sociale italiano, europeo e mondiale perché in esso gli spunti per la soluzione, concreta, ci sono: istituzione per istituzione, parola per parola.
Potremmo proprio definire l'Ingegner Adriano un moderno testimone della parola, che partendo da un chiaro pensiero oggettivo si trasforma in caldo sentimento e in risoluta azione personale: secondo quel triplice processo per cui la parola è coscienza nel pensare, vita nel sentire e forma concreta nell’agire.
Processo dominato da Adriano Olivetti: il che spiega la sua sorprendente poliedricità e la sua capacità di promuovere contemporaneamente (tridimensionalmente diremmo noi) e in tempi brevissimi - se pensiamo a quello che è riuscito a fare negli ultimi 13 anni di vita come si evince dall’agile cronologia alla fine - iniziative concrete ed efficaci nelle tre dimensioni sociali: come Uomo di Cultura, di Politica e di Economia. Come dovrebbe aspirare ad essere ogni Uomo del presente.
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