Punto & Virgola

L'Uomo del destino: l'aspettativa unilaterale-culturale illusoria

Vademecum per giovani (e non più giovani) risanatori sociali: parte prima

27/12/2017

di Andrea di Furia

Auguriamoci un buon 2018 in Italia, specialmente a causa delle prossime elezioni che puntano oltre che sui programmi anche sull’Uomo del destino. Programmi illusorii (fatti per non essere poi rispettati) e allucinato Uomo del destino che si crede buono per tutte le occasioni.

Osserveremo solo quest’ultima fattispecie: di uomini del destino negli ultimi 60 anni ne abbiamo avuti una caterva in Italia. E tuttavia si è rivelata  una scelta che non ha mai pagato, nella storia recente, in nessun Stato sovrano al mondo.

Adesso immaginate un Paese che soffre di mali antichi: immobilismo politico, crisi identitaria, rassegnazione a una quotidianità sconfortante, tendenza a chiudersi nella fede religiosa. No, non è quello che pensate. Non è l’Italia, il Paese descritto sopra. Eppure sembra lei!

Però preferisco parlare di un altro Paese, poi vedremo qual è, per evitare a quasi tutti i “Se fossi io al potere, ci metterei un niente a sistemare tutto quello che non funziona” di introdurre la loro idea specifica come filtro primario. Sicché quando si parla con qualcuno in realtà costui non ascolta, perché freme per dire la sua opinione.

Freme per dirti, anche senza nessuna conoscenza a 360° del problema, il suo specifico punto di vista: “Questo è quello che penso io!”. Questo è il suo vangelo sociale. Oggi, in questo ambito, anche gli atei… si credono Dio.

Dal punto di vista umano questo atteggiamento è quello usuale: lo vediamo sui media, lo vediamo sui social, lo vediamo al Bar, lo vediamo all’Università, lo vediamo in Chiesa, lo vediamo nelle riunioni di Partito e del Parlamento, lo vediamo al Governo, lo vediamo sulla Stampa cartacea e on-line.

Dal punto di vista evolutivo umano, dell’uomo preso a se stante, è un atteggiamento giustificato: ma solo se riferito esclusivamente all’individuo. Ci differenzia infatti dall’uomo antico, dall’uomo orientale che eravamo millenni fa. Ci caratterizza come uomo occidentale moderno di cui, piaccia o non piaccia, Donald Trump è un esempio che non si nasconde come tanti dietro fumose maschere varie: un bell'esempio alla luce del Sole.

Ma dal punto di vista sociale - del sistema sociale fatto di Politica, Economia e Cultura - questo atteggiamento è deleterio. Perché? Perché l’individuo (l’uomo preso a sé) e l’uomo nel sistema sociale son due cose diverse. Sono due esseri diversi: Giuseppe preso a sé è giustificato evolutivamente, mentre Giuseppe nel sistema sociale deve giustificarsi socialmente.

È sempre la medesima persona, è sempre l’identico Giuseppe. Eppure nella prima veste è essenzialmente un “singolo” e può vivere la propria evoluzione riferendola solo a se stesso; nella seconda veste è partecipe di un “collettivo”: è membro del sistema sociale, fa parte della Comunità sociale (economica, politica, culturale).

Se infatti nella coscienza sociale umana non si fa questa fondamentale differenza tra le due “vesti” dell’uomo moderno, allora si apre la specifica tendenza relativa al caos attuale: il Giuseppe “singolo” preso a sé stante, prende il sopravvento sul Giuseppe “collettivo” quale oggetto del sistema sociale e manda a ramengo il triplice motto rivoluzionario. Assistiamo allora alla serie delle aberrazioni sociali che vanno sotto il nome di “uomo del destino.”

 


E allora chi - tra le tre tipologie di “Se fossi io al potere, ci metterei un niente a sistemare tutto quello che non funziona” [dopo aver brillantemente driblato tutti gli ostacoli numerici che si frappongono alla realizzazione della sua idea unilaterale soggettiva di risanamento del sistema sociale (vedi premessa)] - propenderà per questa soluzione, avendo fede assoluta che può funzionare meglio delle eventuali possibili alternative?

In assoluto sono i riformatori sociali che sentono più fortemente la propria vocazione “culturale”. Quelli la cui idea di risanamento verterà sui valori umani, piuttosto che su quelli giuridici o quelli economici.

Per la quale idea potranno anche creare o partecipare alla creazione di un movimento culturale come premessa per una discesa diretta o indiretta nell’agone politico e in campo economico. Di esempi, anche attuali, ce n’è a iosa sia in Italia che nel Mondo.

Intanto osserviamo che la Cultura è la dimensione sociale più antica tra le tre classiche del sistema sociale. Quella che si è emancipata prima delle altre due. La quale da un complesso originario che tutto abbracciava, la Religione, ha fatto poi fuoriuscire anche Arte e Scienza.

E la Cultura è la dimensione sociale che eminentemente considera la Persona, il singolo, come soggetto da educare e formare; mentre è la Comunità il “focus” della Politica; e il Territorio con le sue risorse è il “focus” dell’Economia.

Per cui qui abbiamo la Persona, un “singolo”, come “focus” dimensionale culturale e poi abbiamo il nostro Giuseppe preso a se stante, un “singolo”, come riformatore sociale culturale.

Dunque un “singolo” al quadrato! Una unilateralità-culturale malsana al quadrato garantita al limone. Eccoci allora l’origine della soluzione dell’Uomo del destino”, dell’Unto del Signore, dell’Uomo forte, del Lider maximo: in sostanza della convinzione inamovibile che sia la Persona – gli uomini, se aggiungiamo i vari collaboratori della piramide gerarchica come educatori delle masse - a determinare le sorti di un Paese.

Rammentiamo i vari Dittatori scaturiti dalla dimensione politica andando un poco a macchia di leopardo: Francisco Franco, Gheddafi, Mussolini, Lenin, Stalin, Pinochet, Hitler, Mao, Pol Pot, Milosevic, Mobutu, Marcos, Saddam Hussein, Castro, Khomeini, Kim Jong-un ecc.

Li rammentiamo poiché, pur essendo anch’essi dei “Se ci fossi io al potere”, non vanno al potere da soli ma perché masse di cittadini li seguono e li votano o li impongono. E poi li rammentiamo perché due cose succedono all’Uomo del destino, dando per scontato che non riesce mai a risanare il sistema:

  1. ci prende gusto e diventa dittatore, in forma dura o morbida (rielezione continua), oppure viene eliminato dal ripensamento delle masse che lo sostenevano
  2. diventa ostaggio e paravento del proprio circolo magico: del proprio sèguito di collaboratori e alleati

Ora torniamo a quel Paese di cui dicevamo all’’inizio che soffre di mali antichi: immobilismo politico, crisi identitaria, rassegnazione a una quotidianità sconfortante, tendenza a chiudersi nella religione. Quel Paese, dove un giovane su tre è disoccupato come in Italia, è l’Algeria: uno Stato sovrano da poco più di 50 anni (1962).


Finita l’epoca colonialista francese l’attuale Uomo del destino algerino è Abdelaziz Bouteflika, uscito fuori dalla guerra civile durata fino al 1999 con la sua elezione a Presidente.

Gli si riconosce l’esser stato l’artefice della concordia civile, della pace e della riconciliazione, avendo da una parte reintegrato gli oppositori jihadisti e dall’altra consolidato il sistema economico politico che garantisce ancora la stabilità al suo regime.

Nel 2008 ottiene (dittatura morbida) la modifica costituzionale per potersi ricandidare e conquistare un terzo mandato nel 2009. Ed è sempre il Signor Presidente visto che nel 2014, senza neppure un discorso pubblico è stato rieletto per la quarta volta con un consenso plebiscitario: l’85%.

Consenso che è tanto più stupefacente quanto più si conosce la sua storia clinica. Quasi morto di ulcera allo stomaco nel 2005, da allora la sua salute è un misero gaudioso: un’incognita permanente che terrorizza i suoi alleati e collaboratori. Nel 2013 un ictus lo esporta per 3 mesi dall’Algeria e da allora è un continuo andirivieni clinico in Francia e Svizzera.

Ecco la foto segnaletica attuale del Presidente: 81 anni a marzo prossimo, da 18 anni alla guida del Paese, costretto in una sedia a rotelle e recluso in un palazzo presidenziale uso clinica (non riceve nessuno, né fa più discorsi pubblici) Abdelaziz Bouteflika non è assolutamente in grado di svolgere le funzioni previste dal suo incarico… eppure viene eletto con l’85% dei voti.

Traggo informazioni da “La paralisi algerina” su Internazionale del 7/14 dicembre, e riporto alcuni commenti interessanti sul tema osservato:

Abdelkader Yefsah (politologo): «È un ostaggio dei suoi collaboratori, che hanno il controllo e formano una specie di mafia civile-militare».

Adlène Meddi (scrittore): «Siamo nel momento peggiore, l’attesa. Il governo riconosce di non aver progetti per il futuro. La società e bloccata e si sente dire che anche da morto Bouteflika continuerà ad essere presidente».

Naturalmente Abdelaziz Bouteflika, con i suoi collaboratori e alleati, si è dato da fare per tentare di risanare sia la piaga della guerra civile che il malessere dei propri cittadini in tutti i modi: rincorrendo i soldi (l’Algeria è il 9 produttore al mondo di gas naturale, 91 mld di metri cubi nel 2016) e usando il potere della democrazia (redistribuendo a destra e a manca).

Come tutti i suoi precedenti colleghi Uomini del destino, però, non si è accorto dell’unilateralità strutturale della sua soluzione “culturale”, quel Convitato di pietra che tutto travolge perché opera inosservato.

Cosicché fino a pochi anni fa ricca, l'Algeria di oggi è un Paese in crisi, e il recluso Bouteflika, vittima di un accanimento terapeutico-politico esemplare, probabilmente si starà dicendo: “Ma chi me l’ha fatto fare”. Fa anche rima.

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