Punto & Virgola

Il paradosso della modernità: un pensiero antisociale applicato al sistema sociale

Dove indirizzarci per superarne l’unilateralità


05/11/2017

di Andrea di Furia

Immaginate un essere completamente antisociale. Lo posizionereste ad operare liberamente in un ambito sociale? a pianificare il futuro economico, politico e culturale per tutti noi? Direi che nessuno si prenderebbe questa responsabilità. Al contrario ci si adopererebbe per escluderlo da questa possibilità, cercando piuttosto di trovare un àmbito adatto alle sue caratteristiche: in cui farlo esprimere e maturare secondo le sue possibilità, limitando al massimo i danni per la Comunità.

Purtroppo, se guardiamo al sistema sociale attuale, vediamo che quest’essere completamente antisociale opera liberamente e pianifica il nostro futuro. Volendo essere chiaro e trasparente non mi sto riferendo a Donald Trump, né a qualcuno dell’esausto mondo politico-culturale-economico italiano o europeo.

Mi riferisco esplicitamente al pensiero scientifico applicato al sociale, che non appartiene solo agli specialisti ma che ormai abbiamo conquistato tutti noi. Pensiero scientifico cui dobbiamo l’attuale crescente vortice antisociale in tutte e tre le dimensioni (Politica, Cultura ed Economia) nessuna esclusa. Perché già di suo è doppiamente antisociale: nell’essenza (o di default, come direbbero in molti oggi) e nel metodo.

Nell’essenza il pensiero scientifico è antisociale perché, in particolare dal Rinascimento in poi, è stato lo strumento evolutivo che ha forgiato la nostra coscienza individuale attuale. Pensiero che si pone agli antipodi di quello che avevamo fino ad appena cinque secoli fa, ma che ora ci è sfuggito di mano.

Infatti se inizialmente ci ha messo di fronte come “io” al “non-io” (tutto ciò che è fuori di me), come Individuo singolo alla Comunità, come Uomo al Cosmo [cosa da valutarsi assolutamente in senso positivo-evolutivo] dopo non ha fatto altro [cosa da valutarsi assolutamente in senso negativo-involutivo] che alimentare il nostro egoismo autoreferenziale, il nostro isolamento intellettuale, il nostro disorientamento sociale.

Nel metodo utilizzato poi, il pensiero scientifico col suo atteggiamento sperimentale [validissimo per altro in àmbito naturale (fisico-chimico)] si dimentica volontariamente dell’uomo già mentre lo si esercita.

Fa questo per impedire che un elemento soggettivo [il se stesso dello Scienziato che pensa il dato materiale] entri in gioco e mandi a Patrasso la ricercata oggettività. Elemento soggettivo però che, negato formalmente nei protocolli del metodo scientifico, nella realtà sostanziale riemerge lo stesso: in quanto continua ad agire dall’inconscio del ricercatore orientandolo in base alla propria simpatia e antipatia.

Basta conoscere gli ultimi due secoli di storia della fisica per vedere quante volte l’ipotesi soggettiva ad esempio sul “mattone fondamentale della materia” - atomo, nucleo formato da protoni e neutroni, leptoni, il muone, il bosone di Higgs e i suoi prossimi inevitabili discendenti ipotetici e soggettivi - si è attivata come teoria nel modello standard per poi essere smentita dalla realtà osservata da altri ricercatori. Teoria poi sostituita non dalla realtà oggettiva, ma dall’ipotesi soggettiva di un altro ricercatore.

Se volete, il pensiero scientifico ha queste caratteristiche: è unilaterale e incapace di movimento pensante autonomo [infatti senza il dato oggettivo è incapace di muovere alcunché, tanto meno se stesso come invece dovrebbe cominciare a fare per evolvere] perché è l’esausto residuo ultimo del pensiero mitico-religioso di cui ha soltanto conservato il dogmatismo arrogante.

 


Sostanzialmente questo pensiero scientifico, negando l’uomo, chiude all’uomo stesso la sua possibilità di evoluzione e la apre invece all’oggetto tecnologico! È questo che ora evolve (pensate ai primi telefoni portatili degli anni ’80 in confronto coi cellulari odierni) mentre l’uomo rimane indietro. Salvo in pochissimi casi regredisce e ritorna all’idolatria e alla magia. Non è forse un oggetto magico, per quasi tutti, uno Smartphone?

Andrebbe capito che il pensiero scientifico è adatto a ben operare solo in àmbito naturalistico: lì le sue forze sono sufficienti. Già applicandosi all’uomo, infatti, non esce dalla sua testa, dal livello intellettuale: non raggiunge né cuore, né mani. E applicato al sociale crea solo illusioni, delusioni [lo vediamo quotidianamente] e disastri come effetti collaterali imprevisti, per un uso istintivo e non consapevole da parte degli utilizzatori.

Dal punto di vista sociale, oggi il pensiero scientifico è il gradino più basso di pensiero sociale consapevole. Dal quale però partire per farlo salire di livello: per riconquistare quell'esperienza visiva della realtà ma adesso totalmente desta, mentre in antico era semidesta e sognante.

È un pensiero unilaterale, di corto respiro e formatore di personalità inevitabilmente autocentrate e arroganti: che sanno tutto loro. Per questo il sociale concreto è un paradosso, se lo si ricerca con questo tipo di pensiero. Infatti, anche se si vuole condividere qualcosa con gli altri ci si ritrova a verificare che è impossibile non solo nei talk show ma anche nella vita di tutti i giorni.

Perché anche gli altri hanno già tutti una loro idea in merito senza nemmeno il bisogno di ascoltare. Ciò crea antisocialità invece che relazione sociale: e in più isolamento, ansia, paura, maniacalità e depressione. Persino la perdita di senso rispetto al mondo che ci circonda.

Il Cosmo scientifico infatti è visto come un orologio orbitale gigantesco. Se facessimo un modellino della nostra galassia [la via Lattea che si ipotizza composta di minimo 2-300 mld di stelle] lungo 130 kilometri - modellino si fa per dire - il nostro Sistema Solare sarebbe un granulo orbitante di 2 millimetri di diametro, e la Terra un infinitesimale pulviscolo cosmico. Su questa scala l’uomo è un niente di niente, che potrebbe indifferentemente esistere o non esistere e per questo pensiero scientifico nulla cambierebbe.

Se applicato al sociale, quanto può interessare l’uomo a questo pensiero? Nulla. Gli interessa molto di più la sperimentazione sociale in sé, la ricerca in sé senza limiti: non certo quanto di asociale può capitare all’uomo. E questo spiega da una parte come mai nell’epoca in cui del sociale si è parlato di più, e con più speranze e aspettative, il sistema sociale sia viceversa caratterizzato dalla presenza di maggiori criticità antisociali che negli ultimi 5 millenni.

La restante parte di spiegazione del proliferare crescente di situazioni antisociali va ricercata nell’inidonea strutturazione del sistema sociale attuale che non è più in grado di supportate e sopportare la raggiunta piena emancipazione delle tre dimensioni sociali.

Strutturazione che il pensiero scientifico applicato al sociale non riesce ad afferrare per mancanza di forze sufficienti in quest'àmbito. Per essere applicato al sociale, infatti, il nostro pensiero deve salire di livello, almeno al livello scientifico-artistico se, come afferma Zygmunt Bauman, vuole superare il gradino della sterile critica e denuncia sociologica. Solo così può tornare ad essere efficace a inizio terzo millennio.

 

(riproduzione riservata)